Circolari
Circolare 78/2015
» 14.09.2015
La Riforma Fornero (Art.24, D.L. n. 201/2011, convertito con modificazioni dalla L. n. 214/2011) ha aumentato l’età pensionabile ed incentivato , attraverso il progressivo miglioramento dei coefficienti di trasformazione , il proseguimento dell’attività lavorativa fino al limite massimo della flessibilità (70 anni ed oltre), fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita e fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza.
La stessa norma dispone, inoltre, che nei confronti dei lavoratori l’efficacia delle disposizioni di cui all’art. 18 L. n. 300/1970 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità.
La formulazione ha prodotto incertezze interpretative e quindi un nutrito contenzioso circa l’ambito di applicazione dell’art.18, Legge n. 300/1970, e, di conseguenza, in relazione alla legittimità o meno del licenziamento intimato al lavoratore che abbia raggiunto i requisiti pensionistici e intenda proseguire a lavorare.
Un primo orientamento giurisprudenziale si è espresso nel senso dell’illegittimità del licenziamento intimato a fronte del raggiungimento da parte del lavoratore dell’età pensionabile pro tempore negando l’esistenza di un obbligo di preventivo esercizio dell’opzione per il proseguimento dell’attività lavorativa e ritenendo sufficiente il comportamento concludente del proseguimento dell’attività lavorativa.
Un secondo orientamento ha, invece, ritenuto legittimo il licenziamento qualora il dipendente non abbia concordato o comunicato al datore di lavoro la volontà di proseguire a lavorare oltre la propria età pensionabile negando la sussistenza di un diritto potestativo del lavoratore alla prosecuzione del rapporto fino al settantesimo anno di età e subordinando in ogni caso la sua possibilità di rimanere in servizio al consenso delle parti.
Posta la particolare importanza delle questioni implicate nella controversia, la Sezione lavoro della Cassazione, investita della vicenda, con ordinanza del 3 novembre 2014 ha rimesso il giudizio alle Sezioni Unite che, con sentenza del 4 settembre 2015, n. 17589, hanno accolto il secondo orientamento di merito,così come da tempo auspicato da Confindustria.
Le Sezioni Unite infatti affermano che non sussiste un diritto potestativo del lavoratore di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del limite massimo di flessibilità : la norma non attribuisce cioè al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto.
L’incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro scatta quindi se consensualmente stabilito dalle parti sulla base di una reciproca valutazione di interessi .
L’estensione della tutela dell’art. 18 L. n. 300/1970 opera pertanto solo nel caso in cui le parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto, in presenza delle condizioni di adeguamento pensionistico fissate dallo stesso art. 24.
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