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Circolare 76/2016

» 26.09.2016

Si segnala la recentissima sentenza in oggetto citata, interessante in quanto affronta ancora una volta il delicato tema del diritto alla reintegra, o meno, nel posto di lavoro, a favore del dipendente illegittimamente licenziato, pur in un regime legislativo che, come noto, con la legge n. 92/2012 prima, e con l’ulteriore introduzione del contratto “a tutele crescenti” poi, ha ristretto le casistiche riconducibili alla reintegra a casi del tutto eccezionali.

Il caso di specie appare tuttavia emblematico poiché, andando oltre il mero dato letterale della legge, la Corte di Cassazione interpreta la stessa ritenendo corretta l’impostazione adottata dalla sentenza di merito impugnata, con la quale era stato stabilito il diritto alla reintegra nel posto di lavoro per un lavoratore licenziato per giusta causa in relazione a fatti che, sia pur pacificamente realizzatisi, non presentavano caratteri di illiceità.

In sintesi, al lavoratore erano stati contestati alcuni comportamenti in quanto ritenuti disciplinarmente rilevanti dal datore di lavoro (comportamenti irriguardosi nei confronti di colleghi, indisponibilità a ridiscutere un superminimo con l’azienda a seguito di adibizione a mansioni ritenute inferiori dal lavoratore), ed era stata comminata la sanzione del licenziamento disciplinare, successivamente impugnato.

Stante il dato letterale della legge, per cui l’articolo 18 della legge n. 300/1970 (nella formulazione modificata dall’articolo 1, comma 42, della legge n. 92/2012), prevede la reintegra del lavoratore nei soli casi di licenziamento disciplinare comminato “per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”, nel caso di specie, le circostanze non integravano né un caso (poiché il fatto sussiste da un punto di vista materiale ed è stato provato in giudizio) né l’altro.

Pur tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello ed infine la Corte di Cassazione, hanno ritenuto che i fatti alla base del licenziamento non fossero di per sé rilevanti in quanto non illeciti, e che quindi la nozione di “insussistenza del fatto contestato” comprende l’ipotesi del “fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità”, chiarendo inoltre che sarebbe non plausibile che il Legislatore avesse voluto non includere nel concetto di “fatto insussistente” anche l’ipotesi di “fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione”; ovvero, “la completa irrilevanza giuridica del fatto (pur accertato) equivale alla sua insussistenza materiale”.

In conclusione, fermo rimanendo che continueremo a monitorare l’andamento della giurisprudenza sul tema, dandovene adeguata comunicazione, sembrerebbe non trovare sponda in sede giudiziaria quell’interpretazione letterale della legge secondo cui qualunque fatto contestato disciplinarmente, e sussistente in quanto materialmente realizzatosi, non possa essere oggetto di reintegra giudiziale, facendo quindi salvi i casi di contestazioni pretestuose e/o strumentali o comunque i fatti ritenuti di irrilevante gravità al punto da essere considerati “non illeciti”.

 

 

 

                                                          


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